Viviamo in società aggressive, violente, ansiose, egoistiche, materialiste: in breve, patologiche.
di Stefano Fait, politologo e antropologo
La “terra-formazione” è un processo ipotetico che dovrebbe consentire di rendere un altro pianeta adatto alla vita umana. Sembra che la Terra abbia subito quel tipo di trattamento e sia stata trasformata in un habitat adatto al proliferare di psicopatici e sociopatici, ossia esseri umani che, esternamente indistinguibili dagli altri, sono però privi di empatia (compassione) e di coscienza.
Le persone di discernimento e di buona volontà hanno il dovere di contrastare questo tipo di terra-formazione. Tre di queste persone sono qui con noi stasera: Giuliano “Diaolin” Natali, Claudio “Mago G” Gottardi e Guido “PoetaMatusel” Comin.
Ho accettato con entusiasmo l’invito a presentare la mostra “Canti da Mat” / “Chants for a nut” perché mi ero lamentato di come, in rete, nazionalisti e campanilisti usassero le loro lingue e dialetti per escludere gli altri e non, al contrario, per arricchire il loro prossimo ed il patrimonio culturale umano.
Da antropologo legato alla missione dell’UNESCO – L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura – ed al suo motto – “Poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che le difese della pace devono essere costruite” – l’idea di promuovere una mostra che valorizza la poesia dialettale traducendola in italiano, inglese e nella lingua universale audiovisiva, non poteva che suscitare la mia piena approvazione.
Ho “consumato” la mostra sullo schermo del mio computer, in anteprima, e l’esperienza mi ha riportato alla mente la visione di un Mondo Nuovo che emergeva dalle parole di Federico Mayor Zaragoza, direttore generale dell’UNESCO tra il 1987 ed il 1999.
Per Mayor le caratteristiche precipue dell’essere umano sono la capacità creativa, l’immaginazione, l’inventiva. È lì che risiede la nostra speranza di non terminare i nostri giorni come dei “burattini attaccati a delle stringhe”. La creatività, assistita dall’educazione, ci fa diventare noi stessi, sviluppa le nostre potenzialità latenti. L’istruzione ci deve insegnare a prenderci il tempo per pensare ed essere noi stessi e per sviluppare quella che lui chiama la “sovranità personale” (cioè l’autodeterminazione e la fiducia in noi stessi).
Mayor lo considera un compito gravoso, specialmente a causa della “crescente contraddizione fra la democrazia a livello nazionale e le oligarchie, o se si preferisce, plutocrazie a livello globale”. Esiste un terribile potenziale di “clonazione spirituale”, cioè a dire l’impulso all’uniformazione, una spinta diametralmente opposta alla vocazione dell’istruzione, che è quella di fungere da levatrice di esseri umani unici e preziosi.
Tuttavia, ci rassicura Mayor, non bisogna disperare, perché il futuro non è ancora stato scritto e a noi tocca il compito di impedire a qualcuno di scriverlo, giacché “appartiene ai nostri figli ed ai loro figli. Il passato è già stato scritto, ma possiamo permettere ai figli di scrivere un futuro diverso”.
Ora, questa mostra è un antidoto ad un mondo che sta diventando sempre più stressante, liberticida, brutto e noioso (o comunque falsamente eccitante).
È un antidoto per due ragioni: fa lavorare il cervello e ricollega coscienza e natura attraverso l’arte e la fantasia.
Penso che la causa principale dei mali della nostra società sia stata proprio l’alienazione dalla natura, che non doveva essere l’inevitabile conseguenza della nostra emancipazione dallo stato di natura (che chiamiamo cultura).
Faccio infatti fatica ad immaginare che bambini cresciuti in mezzo alla natura finiscano per diventare adolescenti e adulti dipendenti da psicofarmaci.
La continua spinta alla razionalizzazione, alla massimizzazione, alla riduzione dello spreco (anche di risorse umane) sta facendo avverare la profezia del sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), secondo il quale saremmo diventati “specialisti senza spirito, edonisti senza cuore”, che è una fedele descrizione di uno psicopatico.
Stiamo in pratica costruendo società sociopatiche: un folle paradosso.
Che futuro c’è per una società che sacrifica la famiglia, il lavoro, la comunità e, soprattutto, la vita della mente? È un comportamento suicida.
Fortunatamente in questa mostra c’è tanto cibo per la mente, ci sono tanti simbolismi ed archetipi.
Citerò a questo proposito Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012): “Attraversando il segno simbolico, si dischiude una dimensione supra-sensibile e supra-razionale dove gli esseri umani incontrano un mondo che è per loro realtà, come il divino e il diabolico, l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo, l’infinitamente alto o l’infinitamente profondo, la giustizia e l’ingiustizia, l’ordine e il caos, il potere e l’arbitrio, l’amore e l’odio, l’unione e la divisione, il puro e l’impuro, la riscossa e la rassegnazione, la pace e la guerra: realtà anch’esse, per chi le percepisce, le desidera o le teme, pur se appartenenti ad un altro “ordine di realtà” rispetto a quelle empiriche e razionali”.
È qui che dimora la mente, è questo il suo habitat.
La vera conoscenza non è fredda, non è superficiale, non è priva di significati più profondi: richiede anche le emozioni, una certa vitalità, la poesia.
Questa mostra è un habitat adatto alla vita della mente, all’espansione della coscienza, all’esperienza di una qualità del sentire che normalmente resta invisibile, impercettibile, salvo in alcune sporadiche circostanze, come ad esempio un grande choc, una catastrofe che ci unisce, l’improvvisa realizzazione della propria bancarotta morale, una perdita immensa, il mistero della morte, il tenere un neonato in braccio, un certo sorriso o un certo sguardo di una persona amata, ecc.
Queste cose possono generare una poderosa, sebbene temporanea, capacità d’amore e di compassione, evidenza del fatto che si tratta di una facoltà rimasta latente nell’essenza della natura umana, oscurata da un processo “civilizzatore” e da un condizionamento educativo mal-concepiti e peggio indirizzati.
Purtroppo oggigiorno, e ormai da diverse generazioni, stiamo permettendo alla MegaMacchina di questa civiltà di colonizzare pure questo luogo sacrale che è la coscienza.
Se non cambieremo rotta trascineremo tutto il resto con noi nell’abisso involutivo verso cui siamo diretti.
Se vogliamo invertire questo corso e proseguire verso un eventuale prossimo stadio dell’evoluzione della coscienza umana e della vita sulla Terra, dovremo darci da fare, servirà un massiccio sforzo interiore ed intenzionale da parte dell’uomo.
Dovremo essere come centauri, contemporaneamente animali e spirituali, radicati nella Terra, ma rivolti al Cielo.
Questa mostra ci aiuta a farlo.
Stefano Fait, antropologo e politologo