Sensazione

“Se vuoi essere uomo /cantando il tuo vivere/ distruggi le croci”.

E’ il primo canto, forse la prima porta. Ho sempre guardato con sguardo attonito e tanto rispetto, la poesia.
Tanti pensieri in poche righe, una vita in poche righe.
Io ho sempre avuto bisogno di tante parole che ti spiegano senza dovere troppo interpretare. La poesia, ogni consonante, ogni vocale è un suono, una musica cui ti devi aggrappare e avvoltolare. E niente come la voce del poeta può rendere tangibile la vita e i mondi che vengono attraversati.
Qua ci troviamo di fronte ad una situazione complessa. Una situazione profonda, interiore interpretata da scritti, parole ed immagini. E la sensazione è quella di una vertigine assoluta come un assoluto della steppa mongola. Mi riecheggiano i canti e le musiche salmodiate ripetute con un suono che rinchiude in sé tanti altri suoni. Una interiorità che invade e penetra e non ti lascia. Una voce e parole ,quelle di Giuliano, che diventano tre suoni o forse tre visioni. Ad un primo sguardo tutto sembra semplice: le belle parole di Giuliano, le belle foto di Claudio, la calda voce del poeta in inglese.
Poi leggi e guardi meglio, poi riascolti le parole nel dialetto di Sovér, guardi meglio le foto, ascolti la reinterpretazione in inglese e lo sguardo inizia ad allargarsi. Chiudi gli occhi! Tutto scorre veloce, come il vento della steppa e le parole e le immagini diventano un mantra da cui fatichi a distaccarti. Quasi foglie impazzite che a volte ti accarezzano a volte ti schiaffeggiano.

Inquietudine.

“Raschia,paura /distruggimi la vita/ poi muori con me”,
canto XI.

Le parole di Giuliano non sono acquietanti, è un mondo inquieto che ti viene raccontato; lui mi dice “io sono quello come tu mi vedi”. No non è vero. Ogni persona ha infinite sfaccettature , piccoli specchi che rimandano in continuazione ad altro. Un corpo da guerriero , quello di Giuliano, gambe da camminatore, occhi sempre in movimento a scrutare chissà quali misteri, improvvise aperture e improvvisi silenzi. Grandioso lupo solitario di questa nostra steppa immaginaria e di cui non riuscirai mai a captare i segreti. Corpo da guerriero anche quello di Claudio, più elastico, imprendibile, un cavallo che ha bisogno di correre, ogni tanto si ferma,ma poi continua a correre inseguito o all’inseguimento di chissà quali fantasmi. Un altro guerriero con le sue macchine fotografiche sempre a portata di mano come armi per affrontare o difendersi dalle guerre della vita. Sembra voglia giocare con l’elaborazione a volte quasi uno strip delle proprie fotografie.
E’ il guerriero che finge di essere Peter Pan.
Parlo di loro, persone, perchè mi è difficile scindere una persona dalla propria opera. Tempeste continue apparentemente immutabili. Questa operazione di happening multimediale è una opera complessa e notevole. Non si può dire “mi piace o non mi piace”, sono piccoli specchi che compongono un insieme, una porta come dice Giuliano, una porta, sempre sue parole, di cui non esiste chiave per entrare, ma solo grimaldelli. Forse ci puoi girare attorno ma, per entrarci , serve forse il grimaldello, meglio una mazza e la porta finalmente aperta si dissolve di nuovo ridandoti con dolcezza innumerevoli frammenti che rimandano e rispecchiano la tua vita. Fatta di vento, di fuoco, di terra e di aria. Mi sto perdendo nei labirinti della mente e ricomincio un attimo da capo. Abbiamo un poeta, Giuliano Diaolin Natali che crea delle schegge che sono poesia. Poi le interpreta con la sua bella voce calda, quasi salmodiante. Abbiamo un fotografo, Claudio Gottardi MagoG, dalle immagini potenti. Immagini che non rispecchiano la realtà, ma la reinterpretano.
Ed infine un altro poeta, Guido Comin PoetaMatusel, che non traduce, ma rivisita i testi di Giuliano e anche lui li racconta con un suono caldo e acquietante.
E allora sì, ritorna la vertigine, allora sì, la magia diventa sacralità, Uno che è diventato tre e tre che ritornano ad essere uno.
Allora sì, leggi, ascolti, guardi, cerchi di analizzare, poi però devi mettere da parte e lasciarti andare.
Ti siedi un attimo come in mezzo alla steppa Mongola, ti calmi un attimo e tutte le sensazioni forti come l’aria , l’acqua, la terra e il fuoco di nuovo ti riempiono e passano veloci nella tua mente e nel tuo cuore.
E alla fine con un sorriso e un po’ di inquietudine hai voglia anche tu di correre e perderti nell’orizzonte neanche troppo lontano. Forse non sono riuscito a raccontare questa mostra e tanto meno ad interpretarla, ho guardato, ascoltato, letto, poi ho chiuso gli occhi e ho cercato di raccontare le mie sensazioni.

Enzo Giuseppe Cecchi

 

Enzo è un regista di notevole spessore, trovate la creatura generata con Marco Zappalaglio qui, su
Piccolo Parallelo